Il popolarismo europeo può realizzare la svolta verde-blu solo con i giovani di Markus Krienke

16 Apr 2021

Professore ordinario di Filosofia moderna ed Etica sociale presso la Facoltà di Teologia di Lugano, è membro dell’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti e del Comitato scientifico italiano della Fondazione Konrad Adenauer

Un’Europa più resiliente, più verde e digitale, e più giovane: ecco la visione di Next Generation EU, il piano più grande di investimenti nella storia del continente. La Commissione Europea lega infatti il 37% dei 1.800 miliardi Euro stanziati alla transizione “verde” e il 21% agli investimenti “blu”. Questa occasione unica non deve essere persa perché “scommette” sul futuro – proprio per questo bisogna affrontare nel modo più costruttivo possibile le varie sfide dalla Brexit ai populismi, dalle riforme istituzionali alla sfida dei Paesi Visegard, dai sovranismi alle disparità sociali. Per non parlare della battaglia al Covid che ci occuperà ancora per molto tempo e che ha reso evidente quanto l’agire politico in Europa è ancora determinato dalla logica degli Stati nazione.

È chiaro che solo con i soldi questi problemi non si superano – perciò il nuovo presidente della CDU Armin Laschet ha sottolineato nel suo discorso al Congresso del partito il 16 gennaio l’importanza della fiducia. La fiducia distingue la buona politica dalla mera gestione del potere. Se da un lato la fiducia certamente deve essere costruita e coltivata, dall’altro lato nei tempi del mondo digitale e delle nostre vite ormai onlife è un bene molto fragile. Onlife, infatti, significa che la dimensione digitale influisce sempre in qualche modo sulle nostre identità e le nostre relazioni.

La fiducia, però, è la capacità di costruire una rete fatta di persone vere e non di contatti digitali, e proprio per questo ci chiede di presentarci allo stesso momento credibilmente e con autenticità anche nell’infosfera, cioè in quella parte della vita e della nostra esperienza resa possibile grazie alle tecnologie digitali.

Non bisogna lasciare questa realtà a chi riesce a sfruttarla in modo populista. In questo senso, il populismo è l’espressione della mancanza di fiducia nella politica, per cui può anche servirsi così facilmente della realtà digitale e dei social media. Questo populismo non si sconfigge con la demonizzazione, ma smascherandolo con una valida e credibile alternativa.

Per questo i giovani popolari o democratico-cristiani sono indispensabili per realizzare l’Europa del futuro che attraverso la rivoluzione verde-blu deve riaffermare i valori della dignità umana, della solidarietà e sussidiarietà.

È evidente come l’importanza di identificare un punto di riferimento politico per questi valori – un partito democratico-cristiano di centro – vale soprattutto per il rapporto con la vicina Italia dove la democrazia subisce l’impatto del populismo ancora di più rispetto ad altri Paesi.

In Italia il populismo può approfittare dalla mancanza di organizzazione che potrebbe accogliere chi sente l’esigenza di promuovere una “buona politica” e utilizzare gli strumenti digitali per la promozione del bene comune. Così le forze che vogliono superare l’individualismo e realizzare un “noi” politico che si apre alla collaborazione europea, non riescono a confluire in una voce politica forte. Si comprende quindi immediatamente che non è di poca importanza il fatto che a San Marino i giovani che intendono contribuire a costruire la fiducia nel domani trovano una struttura ed organizzazione. Ciò rende questa realtà dei Giovani Democratici Cristiani anche un segnale importante e un punto di riferimento per la vicina repubblica.

C’è un altro aspetto che nella nuova realtà socio-economica europea e geopolitica sarà di grande importanza dopo il Covid: un’Europa, che vuole essere più resiliente, non potrà concepirsi più come una struttura sovranazionale o confederale di Stati ma dovrà consolidarsi come rete dinamica e coesa. Bisogna rinvigorirne l’unità senza però schiacciare la pluralità interna con un centralismo soffocante

A tale fine sarà importante il contributo positivo dei piccoli Stati come risorse e istanze di mediazione, che quindi dovranno smentire il pregiudizio che essi alzino la loro voce soltanto per “bloccare” l’UE. Ora, San Marino non è membro dell’UE, ma gli accordi esistenti e la volontà di rafforzarli sono una chiara affermazione della convinzione che le sfide del domani si potranno affrontare soltanto facendo rete e basandosi su relazioni di fiducia.

Allo stesso momento, gli Stati piccoli ci ricordano che fare rete non è la stessa cosa dell’accentramento e che quindi il principio di sussidiarietà è indispensabile per il futuro dell’UE.

Non a caso uno degli ideali dell’Europa politica nascente era la Svizzera, e perciò l’Europa deve comprendere che la scommessa storica in questo momento è quella di creare davvero un “noi”. Che proprio i giovani di San Marino offrono aiuto e ed incoraggiamento, sarà un segnale forse piccolo, ma davvero molto importante.