Il diritto alla vita è connaturato alla persona umana. Così recita la Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili. Un diritto che “appartiene” a ciascuno di noi dal momento in cui abbiamo iniziato ad esistere nel grembo di nostra madre. Un diritto, tuttavia, che sarebbe già calpestato se non fosse consentito ad ogni essere umano almeno di nascere.
Il Referendum che il 26 settembre siamo chiamati a celebrare chiederà ad ogni cittadino di esprimersi proprio sulla possibilità che il Consiglio Grande e Generale approvi una legge che consenta alla madre di interrompere la vita del figlio concepito e non ancora nato.
La decisione a cui siamo chiamati è così grave ed importante che è necessario cercare di fare la massima chiarezza.
Che cosa accadrà concretamente se il quesito referendario verrà accolto?
Il Consiglio Grande e Generale dovrà legiferare secondo questa richiesta: “… che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione e, anche successivamente, se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie o malformazioni del feto che comportino rischio per la salute fisica o psicologica della donna“.
Pur volendo considerare tutte le condizioni negative che possono rendere problematico per una donna l’evento di una gravidanza, preso atto comunque che la procreazione non è una malattia e fatta salva la necessità di operare affinché il concepimento possa avvenire nel miglior contesto possibile, per la madre, per il padre e per il nascituro, l’accoglimento del quesito trasferisce di fatto alla donna il potere di decidere l’interruzione del percorso vitale del nascituro.
È ragionevole tutto questo?
Ci sono motivazioni così forti da legittimare la negazione del diritto alla vita?
Qualora il quesito fosse anche animato da buone intenzioni, finisce infatti per alimentare inevitabilmente quella cultura dello scarto per cui la vita ha valore solo se ha una certa “qualità” e, mentre sembra offrire alla donna il riconoscimento di un nuovo diritto, scarica sulla stessa tutta la responsabilità dell’atto generativo, atto che ha invece nella relazione il suo ambito naturale e chiede a tutta la comunità la disponibilità di un coinvolgimento solidale.
Tutto il nostro sistema di protezione sociale crollerebbe senza il rispetto di queste condizioni!
Per questo, mentre esprimiamo con convinzione il nostro “NO” al quesito stesso e invitiamo tutti a fare altrettanto, ci sentiamo mobilitati, anche dalla problematica sollevata col Referendum, a favorire una cultura dell’accoglienza nella quale possano trovare spazio tutte le forme di solidarietà e di aiuto, necessarie e indispensabili affinché nessuno debba arrivare a pensare che la nascita di un bambino sia di ostacolo alla realizzazione di sé e all’espressione della propria libertà.