Bisogna convincersi che il mondo è cambiato.
C’è chi in questo vede solo il peggio e si arrocca su politiche di resistenza, necessariamente perdenti.
Nell’era del telematico, San Marino scopre quello sbocco al “mare” che non ha avuto mai.
Ogni artigiano, produttore o professionista può lavorare e vendere i propri beni e servizi verso luoghi lontani migliaia di chilometri, senza spostarsi di un centimetro.
Certo, lo sviluppo è anche il drastico cambio dei rapporti di lavoro, sempre più intermittenti e precari.
Per questo, per reagire e tramutare la criticità in occasione è necessario lavorare sulla formazione e aggiornamento costante dei lavoratori, per elevarne il profilo e le capacità, ma soprattutto permettergli di essere i più bravi e i più capaci in un mercato al massimo ribasso.
Bisogna, poi, lavorare sui contratti di lavoro per integrare il welfare e evitare stati di crisi familiare irreversibili in questo mercato del lavoro fluido, connotato da possibili vuoti temporali e di reddito tra un’occupazione e l’altra.
In definitiva, a dire il vero, prima di tutto, è necessario creare lavoro e non dare sussidi; assegni che, anche se ben vengano in tempo di crisi, non devono che essere soluzioni di breve termine, mentre si progetta un avvenire più ambizioso.
Lavorare, poi, fa bene al corpo e alla mente.
In conclusione, a dispetto di coloro che sostengono il contrario, guardando alla splendida Repubblica che ci ha dato i natali, qui non si tratta di rendere nuovamente grande San Marino (secondo un triste “make San Marino great again”), bensì di ricordarci di quanto San Marino sia già “grande” e, soprattutto, ricordarlo al mondo.